Ultimo aggiornamento 17 Dicembre 2021 - 13:38
Ott 23, 2013 Redazione Attualità 0
In Puglia c’è un mondo di invisibili che, spinti dalla necessità di lavorare, vivono in condizioni disumane. A mettere il dito in una piaga già nota non sono i media nazionali, ma quelli francesi. Un’inchiesta del programma televisivo “Cash Investigation”, la versione francese dell’italiano “Report”, ha mostrato ai suoi telespettatori la drammatica situazione degli immigrati africani nelle campagne pugliesi.
Un duro colpo per l’immagine della Puglia, ma sotto accusa sono anche Auchan, Lidl, Carrefour, Intermarche, ovvero le più grandi catene di supermercati e ipermercati d’Europa, “colpevoli” di vendere prodotti raccolti sfruttando migranti in condizioni di schiavitù, nonostante le decine di pagine dedicate ai rispettivi codici etici, dove si sottolineano “il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori”. L’utilizzo della parola “schiavitù” sembra quasi fuori tempo perché evoca qualcosa che si credeva estinto. Eppure è l’unica adatta a descrivere lo stato di quei lavoratori.
Il servizio andato in onda il 18 settembre sul canale “France 2”, nella puntata dal titolo “La raccolta della vergogna”, parte proprio dagli scaffali di un supermercato della catena Auchan e si concentra su alcuni degli alimenti più acquistati in Francia: broccoli, pomodori, pesce, banane. I pomodori e i broccoli provengono proprio dalla Puglia, dalle campagne di Foggia per l’esattezza. Ed è lì che inizia il viaggio dei reporter transalpini.
L’azienda agricola produttrice risulta essere quella di Pierpaolo Passalacqua che, con 450 ettari di terra nell’agro di Apricena, esporta pomodori e broccoli in mezza Europa. Sul sito internet dell’azienda, sotto il titolo in grande “Crediamo nei valori” si legge il testo: “Sono i valori etici che da oltre 30 anni ispirano l’attività delle nostre aziende agricole, valori che garantiscono elevati standard qualitativi”. La realtà però è ben diversa.
Dietro quei broccoli in bella mostra sugli scaffali dei supermercati ci sono le fatiche e il sudore di lavoratori che guadagnano 2 euro e 70 centesimi l’ora. Così i telespettatori francesi scoprono l’orrore del caporalato, una parola non presente nei loro dizionari. Le telecamere, infatti, fanno tappa al cosiddetto “Grande ghetto”, così come viene chiamato la baraccopoli situata a pochi chilometri da Foggia dove circa 3mila tra maliani, ivoriani e senegalesi vivono “in condizioni disperate”.
L’inchiesta non si ferma a Foggia ma arriva fino alle campagne di Nardò, in provincia di Lecce. Lì gli immigrati raccolgono le angurie. E lì il significato del “caporalato” viene spiegato dallo stesso magistrato della procura leccese Valeria Mignone:
“L’unico contatto che questa gente ha con il mondo è il caporale. Tutto ciò che acquistano viene venduto a prezzi altissimi. Un piccolo panino viene venduto a 2,5 euro, anche a 5 euro. E tutto questo loro devono prenderlo solo dal caporale. Devono pagare anche per l’alloggio, anche se questo è inesistente o fatiscente. Case abbandonate alla periferia del paese”.
Pessima figura per la Puglia, ma questo è il male minore.
La Redazione
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