Ultimo aggiornamento 17 Dicembre 2021 - 13:38
Lug 20, 2012 Redazione Cronaca 0
Dicevano agli imprenditori che la loro protezione avrebbe garantito quella sicurezza di cui ha bisogno una struttura turistica, ma quando intuivano che gli operatori non avrebbero corrisposto economicamente, da “salvatori” si trasformavano in “carnefici”, praticando atti intimidatori ai danni dei proprietari e della loro struttura.
Questa la ricostruzione dei carabinieri del Comando provinciale di Foggia e della Tenenza di Vieste che, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Bari, nella notte del 19 luglio 2012, hanno dato esecuzione a quattro misure cautelari nell’ambito dell’operazione denominata “Tre moschettieri”.
“Tre moschettieri” perché tre degli arrestati sono presunti collaboratori del boss Angelo Notarangelo e sono Giuseppe Notarangelo, fratello di Notarangelo, Luigi Notarangelo e Girolamo Perna, un uomo di fiducia. Il quarto è proprio lui, capo clan Angelo, alias Cindarjiudd, a cui l’ordinanza è stata notificata presso la casa circondariale di Foggia, dove è detenuto dal 13 aprile 2011, arrestato nell’ambito delle operazioni denominate “Medioevo” e “Slot Machine”.
Proprio quell’operazione, Medioevo, portata a termine grazie alla collaborazione di molte vittime, che dopo anni di soprusi hanno trovato il coraggio di denunciare la banda criminale, oltre che aderire all’Associazione Antiracket di Vieste, ha dato il via ad un viaggio senza ritorno, un viaggio verso la legalità e la libertà.
Da allora, altri imprenditori operanti nel settore del turismo, si sono ribellati alla prepotenza subita anche dai “tre moschettieri”. Ai loro aguzzini le vittime erano arrivate a versare dai 1.000 ai 1.200 euro mensili, temendo di mettere a repentaglio le loro imprese se non avessero “collaborato”. Quando erano in ritardo con i pagamenti o quando tentavano di non sottostare più a quelle tacite regole, diventavano bersagli di atti intimidatori come il gasolio nella piscina, colpi di fucile sulla vetrata del bar, furto dei computer nella reception, colpi di pistola contro auto della proprietà, biglietti e scritte minatorie e altri atti dimostrativi di ogni genere.
Collaborando con le forze dell’ordine e procurando prove determinanti che, per la tipicità dei reati contestati, normalmente risultano difficili da acquisire, come le somme di denaro utilizzate per il pagamento del pizzo, le vittime hanno detto “basta”. Per la comunità viestano sembrano aprirsi orizzonti nuovi, figli del coraggio di quanti si sono sentiti spogliati anche della loro dignità.
La Redazione
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