Ultimo aggiornamento 17 Dicembre 2021 - 13:38
Lug 17, 2020 Redazione Cronaca 0
Ecco l’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia sugli assetti della criminalità in Provincia di Foggia. Focus si Foggia città e Gargano
“La questione della criminalità foggiana è stata oggetto di una particolare attenzione nel corso del 2019, come attestato, da ultimo, dal Comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza pubblica, riunitosi presso la Prefettura di Foggia, il 23 dicembre 2019, alla presenza del Ministro dell’Interno”. E’ quanto si dichiara nella relazione semestrale antimafia della Dia (che analizza il secondo semestre del 2019).
Dopo la “strage di San Marco in Lamis” del 9 agosto 2017 (nel relativo processo, con il dispositivo di sentenza emesso, l’11 dicembre 2019, dal Tribunale di Bari è giunta la prima risultanza processuale con la condanna di uno degli imputati alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione poiché ritenuto colpevole di detenzione e porto illegale di armi e munizioni, con l’aggravante di cui al 416 bis 1 c.p. essendo stata la condotta delittuosa finalizzata a favorire il clan LI BERGOLIS) e a causa di una serie di eventi criminali accaduti tra il 2018 e il 2019, la situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica nella provincia è rimasta sempre alla ribalta della cronaca, anche nazionale (tra i fatti più gravi gli incidenti del 4 e 6 agosto 2018 che, con la morte di 16 braccianti africani, hanno riacceso i riflettori sul fenomeno del caporalato, e l’omicidio, il 13 aprile 2019, a Cagnano Varano di un Maresciallo Maggiore dei Carabinieri).
A seguito, poi, dell’escalation di atti intimidatori registrata tra la fine del 2019 ed i primi giorni del 2020 (compiuti con l’esplosione di ordigni, colpi d’arma da fuoco ed incendi, perlopiù ai danni d’imprenditori che operano in settori cruciali dell’economia locale) il Ministro dell’Interno ha deciso l’invio “di un contingente straordinario di Forze di polizia” e l’attivazione, a Foggia, di una Sezione Operativa della Direzione Investigativa Antimafia, formalmente istituita il 15 febbraio 2020. In particolare, il Ministro ha dichiarato che “l’apertura della Sezione Operativa della DIA e la destinazione di un maggior numero di personale di polizia confermano la volontà dello Stato di contrastare con la massima determinazione ogni forma di criminalità, rafforzando le strutture destinate all’attività di prevenzione e repressione, e nel contempo di garantire il capillare controllo del territorio anche nella provincia e nella città di Foggia”.
In tale contesto, la risposta istituzionale si è, infatti, concretizzata, oltre che in un capillare controllo del territorio e nelle attività info-investigative (con i proficui risultati conseguiti da magistratura e Forze di Polizia), in un’efficace applicazione della disciplina del Codice Antimafia, in particolare in materia di interdittive, nonché in significativi interventi sulle attività degli Enti Locali (tanto che nel corso del semestre in esame sono stati sciolti i consigli comunali di Manfredonia e Cerignola).
Ciò ha indotto le consorterie mafiose, quasi tutte private degli elementi di vertice e fortemente destabilizzate sia sul piano operativo che decisionale, a creare nuove alleanze o rinvigorire quelle già esistenti, rafforzando i legami tra i gruppi delle diverse macro-aree (capoluogo di provincia, Gargano, alto e basso Tavoliere). Per tali ragioni il quadro criminale della provincia risulta particolarmente complesso e instabile.
FOGGIA CITTA’
Nella città di Foggia, continua lo stallo tra le tre batterie dei SINESI-FRANCAVILLA, MORETTI-PELLEGRINO-LANZA e TRISCIUOGLIO-PRENCIPE-TOLONESE, tutte pesantemente colpite dalle operazioni “Decima Azione” (del 2018), “Chorus” e “Chorus 2” (rispettivamente del 5 febbraio e 9 maggio 2019), che hanno privato i clan delle figure apicali: all’atto della redazione della presente Relazione, risultano detenuti in carcere i boss dei clan MORETTI, SINESI, LANZA, TOLONESE ed i fratelli reggenti del clan FRANCAVILLA, mentre il capoclan dei TRISCIUOGLIO è agli arresti domiciliari per ragioni di salute.
Sotto il profilo dell’analisi, come già evidenziato nelle precedenti Relazioni Semestrali, le citate inchieste sanciscono un passaggio significativo nell’evoluzione del rapporto estorto-estorsore, che dal tradizionale racket fatto di minacce esplicite e violenze dirette si è trasformato in un modello molto più subdolo ed insidioso, in cui per l’assoggettamento è sufficiente la fama criminale e la forza intimidatrice promanante dal vincolo associativo (c.d. estorsione ambientale).
La misura del condizionamento può essere dedotta anche dal fatto che in un processo come quello scaturito dalla citata operazione “Decima Azione”, a costituirsi parte civile in rappresentanza della società civile e degli interessi degli imprenditori taglieggiati siano stati la Regione Puglia, la città di Foggia, la Fondazione Antiracket e Confindustria, mentre, come abbondantemente evidenziato dalla stampa, stride il silenzio delle vittime delle estorsioni.
Un’ulteriore riprova del fenomeno è emersa anche nel corso del processo “Rodolfo”, che ha fornito uno spaccato sul livello di infiltrazione delle cosche nell’economia locale, tanto che in alcuni casi le vittime delle estorsioni, perlopiù imprenditori del settore agroalimentare, nel corso delle udienze hanno assunto un comportamento reticente e non collaborativo. Ciò ha comportato che le società riconducibili alle vittime sono state ritenute talmente a rischio da essere state, esse stesse, destinatarie della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria. Una tranche del processo si è conclusa il 17 luglio 2019, con il passaggio in giudicato della sentenza emessa, nel secondo grado di giudizio, a carico di sei dei dieci imputati, a seguito della quale la Polizia di Stato e la Guardia di finanza hanno dato esecuzione agli ordini di carcerazione disposti nei confronti di tre esponenti apicali della batteria SINESI-FRANCAVILLA. Parallelamente, il 4 dicembre 2019, a conclusione del rito ordinario, sono stati ritenuti colpevoli dei reati loro ascritti (estorsione aggravata dal metodo mafioso) e condannati in primo grado, il capoclan FRANCAVILLA e alcuni elementi di vertice della famiglia LANZA. Quest’ultimi esiti processuali hanno dato rilievo anche a un altro particolare aspetto del sistema criminale in atto all’epoca dei fatti, ovvero dell’esistenza di un consorzio tra i clan FRANCAVILLA e LANZA, appartenenti a batterie contrapposte, e ad un conseguente sistema gestionale delle attività estorsive. Un sistema che, tutto sommato, soddisfaceva anche le vittime, le quali, “pagando il giusto” al consorzio, risultavano tutelate da eventuali ulteriori pretese da parte di altre associazioni criminali.
Tali esiti processuali confermano, inoltre, come il carattere federativo delle tre batterie, seppure mutevole nella consistenza e nella composizione in funzione di interessi ed esigenze “operative” contingenti, consente loro di metabolizzare gli effetti delle attività di contrasto e di contemperare l’atavica incapacità di darsi una struttura gerarchica con un vertice condiviso, in grado di elaborare strategie unitarie (limite questo più evidente laddove i legami all’interno dei clan sono ancorati su vincoli familiari).
Per altro verso, la società foggiana conferma una progressiva azione di espansione verso il Gargano (dove i SINESI-FRANCAVILLA vantano stabili rapporti con il clan LI BERGOLIS, mentre i TRISCIUOGLIO-PRENCIPE-TOLONESE sono alleati dei ROMITO) e l’Alto Tavoliere (a San Severo per i legami tra i SINESI-FRANCAVILLA ed il gruppo NARDINO, da un lato, e tra i clan MORETTI e LA PICCIRELLA dall’altro, e a Orta Nova per la presenza dei TRISCIUOGLIO-PRENCIPE-TOLONESE).
L’influenza dei MORETTI nel sanseverese è stata comprovata dalla sentenza emessa nei confronti del capoclan, figura storica della mafia foggiana, condannato unitamente ad altri tre sodali, in quanto ritenuti colpevoli, tra l’altro, di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, nei confronti di un imprenditore di San Severo. Tra i condannati compare anche il capo del gruppo LA PICCIRELLA, a sua volta ritenuto elemento di vertice della criminalità organizzata dell’area di San Severo, ma nel procedimento penale in esame giudicato quale partecipe della società foggiana.
Tali collegamenti sono stati confermati dall’operazione “Hydra”, eseguita nel semestre in esame e nata proprio da approfondimenti investigativi sui legami tra i MORETTI-PELLEGRINO-LANZA e soggetti del sanseverese, in particolare un imprenditore operante nel settore dei rifiuti e uomo di fiducia del capoclan LA PICCIRELLA. L’indagato era stato riconosciuto, nell’ambito dell’inchiesta, promotore di un sodalizio che, attraverso la costituzione di diverse società fantasma, riciclava proventi illeciti mediante l’emissione di fatture false e procedeva alla fittizia assunzione di dipendenti, percependo indebiti indennizzi dall’INPS (valutati per circa mezzo milione di euro).
Fuori Regione, oltre ai rapporti con ‘ndrangheta e camorra, è conclamata la presenza della società foggiana in Abruzzo, Molise e Marche, nonché in Lombardia. Il 21 ottobre 2019, in provincia di Milano, in ottemperanza ad un ordine di esecuzione pena, è stato tratto arresto un cerignolano ritenuto il referente lombardo di un gruppo criminale contiguo alla batteria SINESI-FRANCAVILLA, che si occupava per conto del sodalizio pugliese dell’approvvigionamento di grossi quantitativi di stupefacenti. Il pregiudicato era stato arrestato, nel 2014, nell’ambito dell’operazione “Gold&Camel”, indagine che aveva appunto comprovato traffici illeciti anche nelle Marche e in Molise, dove il gruppo organizzava plurime cessioni di partite di sostanze stupefacenti nei confronti di una diffusa clientela.
GARGANO
Passando alla mafia garganica, questa si caratterizza per lo strettissimo rapporto col territorio, ove esercita un fortissimo potere di intimidazione e ove vengono poste in atto attività illecite quali le estorsioni, il traffico di sostanze stupefacenti e l’usura. Lo scenario criminale garganico si conferma strutturalmente precario, in forte evoluzione e pertanto di complessa intelligibilità, connotato dalla presenza di una pluralità di gruppi criminali con forte vocazione verticistica, basati essenzialmente su vincoli familiari e non legati tra loro gerarchicamente.
Tra questi lo “zoccolo duro” è rappresentato dal clan dei MONTANARI, nell’ambito del quale un ruolo chiave è svolto dalla famiglia LI BERGOLIS di Monte Sant’Angelo che, nel promontorio del Gargano, ha catalizzato elementi, vecchi e nuovi, provenienti da diversi gruppi locali (Oltre a questi, fanno parte del gruppo dei cd. “Montanari”: i LOMBARDI, detti anche “Lombardoni”, originari di Monte Sant’Angelo e con alcuni componenti stanziati a Manfredonia e numerosi appoggi nel resto del Gargano e, in particolare, nell’area di Sannicandro Garganico; il clan FRATTARUOLO, da sempre attivo su Vieste con propaggini su Manfredonia, in contatto con altri gruppi del Gargano e con la criminalità cerignolana, dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti e armi, alle estorsioni, nonché alla guardiania abusiva in strutture ricettive e ai cantieri; il clan PRENCIPE, attivo nello spaccio di sostanze stupefacenti, estorsioni e guardiania abusiva, composto da elementi di diverse estrazioni sociali, originario di San Giovanni Rotondo, dove funge da referente per il clan LI BERGOLIS.
Nell’ambito del primo grado del procedimento scaturito dall’operazione “Far West”, l’11 settembre 2019 è stata emessa la sentenza del GUP presso il Tribunale di Foggia nei confronti di 9 imputati ritenuti colpevoli a vario titolo di tentato furto aggravato, danneggiamento a seguito di incendio, detenzione e porto illegale di armi e materiale esplodente nonché detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. L’indagine aveva riguardato un asse criminale tra Cagnano Varano e Monte Sant’Angelo).
Elemento di punta di tutta la mafia garganica è il reggente del clan LI BERGOLIS, nipote del patriarca ucciso a Monte Sant’Angelo nel 2009, al quale, l’11 novembre 2019, è stata notificata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S., dopo che il pregiudicato, scarcerato il 13 settembre 2019, si era reso, per diverso tempo, irreperibile. Lo stesso è stato, peraltro, nuovamente arrestato nell’ambito dell’operazione “Friends”, eseguita da Polizia di Stato e Guardia di finanza il 20 novembre 2019. Gli esiti dell’indagine mettono in chiara luce l’ambizione del clan dei MONTANARI di affermare la propria egemonia sulle attività illecite dell’intera macro-area del Gargano, se non addirittura di consolidarsi a livello extraregionale e nazionale. Le investigazioni hanno, inoltre, evidenziato le importanti collaborazioni del sodalizio con la ‘ndrangheta e, in particolare, i rapporti d’affari per droga e armi, tessuti nel triangolo Rosarno/Monte Sant’Angelo/Torino, con soggetti legati alla cosca PESCE-BELLOCCO di Rosarno (RC). Significativa, al riguardo, la presenza di esponenti della cosca di Rosarno in occasione di un summit tenuto a Monte Sant’Angelo (settembre 2016), durante il quale, secondo gli esiti investigativi, i calabresi avrebbero trattato l’acquisto di l kg di eroina dai MONTANARI, da destinare alla piazza di Torino. Inoltre, nel provvedimento cautelare è stata rilevata la contiguità tra la batteria montanara e gruppi criminali di Lucera, fondata non solo sui comuni interessi “commerciali”, ma anche su un consolidato rapporto di amicizia tra due esponenti di rilievo delle cosche, i quali erano stati reclusi presso la medesima cella di sicurezza della Casa Circondariale di Bari, tra luglio ed agosto 2005.
L’inchiesta, infine, ha dato risalto anche a figure che in quel contesto criminale sarebbero riuscite a ritagliarsi una certa autonomia operativa, circostanza questa, almeno apparentemente, in controtendenza rispetto ai descritti equilibri. Un’autonomia che si è evidenziata anche per l’area di San Giovanni Rotondo, ma riguarda, più diffusamente, anche i territori di S. Marco in Lamis, Rignano Garganico, Sannicandro G. e Cagnano Varano, tutti centri nevralgici per le dinamiche criminali della provincia.
Il ruolo centrale assunto dai MONTANARI nello smistamento della cocaina in Puglia trova riscontro anche negli esiti processuali dell’inchiesta “Montagne Verdi” (sentenza del 10 luglio 2019) e in quelli investigativi dell’operazione “Gargano” dell’8 agosto 2019. In particolare, quest’ultima indagine ha accertato l’esistenza di due distinti sodalizi, tra loro comunque connessi, il primo capeggiato da un elemento del clan LATTANZIO di Barletta, il secondo da un pregiudicato appartenente al clan dei MONTANARI, ucciso ad Amsterdam nell’ottobre 2017. L’omicidio sarebbe maturato negli ambienti del narcotraffico, in cui – come accennato – si sarebbero sempre più consolidate le collaborazioni tra la mafia garganica e la ‘ndrangheta. L’autore dell’omicidio, reo confesso e collaboratore di giustizia, avrebbe ricostruito le rotte del traffico di cocaina dal Sud America in Olanda, dove svolgeva da anni la sua funzione di broker tra i cartelli colombiani e le due organizzazioni mafiose italiane. Avrebbe, inoltre, fornito informazioni utili a ricostruire passaggi chiave nelle critiche dinamiche interne alle cosche del Gargano, nonché i possibili collegamenti tra la Strage di San Marco in Lamis e altri omicidi avvenuti in provincia.
I MONTANARI, alleati del clan FRANCAVILLA di Foggia, restano in contrapposizione con il gruppo RICUCCI-ROMITO-LOMBARDI. Quest’ultimo, risultato della rimodulazione criminale in atto nell’area, è stato così denominato, per la prima volta, nel provvedimento eseguito dai Carabinieri il 17 aprile 2019. Il gruppo in parola opera tra Manfredonia, Monte Sant’Angelo (frazione di Macchia) e Mattinata e vanta legami con altri gruppi del promontorio garganico (in particolare a San Marco in Lamis, Apricena e Vieste), nonché con i clan TRISCIUOGLIO e MORETTI di Foggia e con la malavita cerignolana. In ambito extraregionale, anche questo è legato ad alcune cosche calabresi.
Proprio nella faida tra i LI BERGOLIS e i ROMITO (dopo le “eccellenti” epurazioni di esponenti dei clan NOTARANGELO, GENTILE e ROMITO), l’11 novembre 2019, a Monte Sant’Angelo, è maturato l’omicidio di un elemento di vertice del clan RICUCCI, cui ha fatto seguito, quale “risposta”, il fallito agguato, a Manfredonia, del 29 novembre 2019 ai danni di un pregiudicato, fratello maggiore del più volte citato reggente del clan LI BERGOLIS.
Se da un lato, quindi, il gruppo dei MONTANARI è apparso rafforzato anche dalla “vicinanza” di alcuni giovani appartenenti a famiglie una volta rivali, gli ALFIERI-PRIMOSA-BASTA, nonché dal consolidamento dell’alleanza con la famiglia dei LOMBARDI (detti i “Lombardoni”), il clan RICUCCI-ROMITO-LOMBARDI – a seguito del citato ennesimo fatto di sangue e dopo gli arresti che, nel semestre precedente, lo avevano privato di elementi apicali e delle frange operative di Mattinata e Vieste – risulta notevolmente indebolito. Per quest’ultimo gruppo un’ulteriore criticità è rappresentata dalla latitanza di uno degli elementi apicali del clan RICUCCI, considerato il braccio operativo del sodalizio e cognato del boss ucciso, di cui sembra destinato a prenderne il posto.
Ciononostante, il sodalizio resta protagonista indiscusso dell’evoluzione del fenomeno mafioso su quel territorio, nonché di una significativa ingerenza nella gestione della “cosa pubblica”, come sembrano comprovare anche gli elementi alla base dello scioglimento del consiglio comunale di Manfredonia, la cui gestione è stata affidata ad una Commissione straordinaria per la durata di 18 mesi. Il provvedimento amministrativo è stato motivato sulla base di evidenti elementi di condizionamento dell’Ente sia da parte della mafia locale che della batteria foggiana dei TRISCIUOGLIO-PRENCEPE-TOLONESE. La Commissione d’accesso, infatti, ha proceduto ad una attenta analisi dei soggetti che, a vario titolo, hanno avuto responsabilità nelle scelte di indirizzo del Comune sipontino, evidenziando relazioni dirette tra alcuni esponenti dell’Amministrazione comunale e soggetti di spicco della criminalità organizzata, nonché numerosi legami societari e affaristici sussistenti tra i primi, o loro familiari, ed esponenti delle cosche mafiose.
Nella Relazione conclusiva “il prefetto stigmatizza l’intricato intreccio di relazioni familiari, frequentazioni e convergenze di interessi che legano diversi esponenti della compagine di governo e dell’apparato burocratico dell’ente — alcuni dei quali con pregiudizi di natura penale — a soggetti controindicati ovvero ad elementi anche apicali dei sodalizi localmente egemoni”. Più nel dettaglio, sono state rilevate “gravi, reiterate anomalie ed irregolarità nel settore delle concessioni demaniali marittime per l’esercizio di stabilimenti balneari — stigmatizzate anche dalla Ragioneria generale dello Stato a seguito del controllo ispettivo effettuato a luglio 2018” e “la sistematica disapplicazione del protocollo d’intesa sottoscritto con la prefettura di Foggia a luglio 2017, in base al quale il Comune di Manfredonia si era impegnato a richiedere le informazioni antimafia”. Altre irregolarità hanno riguardato il servizio di riscossione dei tributi locali, l’abusivismo edilizio, le licenze per la somministrazione di bevande, le concessioni demaniali marittime ad uso impianti di acquacoltura, quindi per la gran parte ambiti del locale sistema produttivo che assumono una funzione trainante nell’economia del territorio.
A Vieste, le contrapposizioni sfociate nella faida scissionistica tra RADUANO e IANNOLI-PERNA (2015-2019) risultano cessate grazie alle efficaci operazioni di contrasto che hanno scompaginato entrambi i sodalizi. L’ultima in ordine cronologico, “Neve di Marzo”, ha riguardato le attività del clan RADUANO nel narcotraffico e nello spaccio di droga. Tra i destinatari della misura emerge la figura di un pregiudicato catturato nelle Isole Canarie (E), dove si era trasferito da qualche mese per timore della sua incolumità e per sfuggire ad eventuali operazioni di polizia. Per quanto attiene alle caratteristiche del sodalizio, il provvedimento ne ha evidenziato la struttura verticistica, la gestione di una cassa comune, il controllo del territorio, la disponibilità di uomini, mezzi e luoghi (masserie, terreni e casolari) dove poter nascondere stupefacenti e armi e tenere i summit mafiosi. Sono stati, inoltre, messi in luce il dinamismo del clan nelle operazioni di approvvigionamento di droga, soprattutto nelle città di Cerignola e Cagnano Varano, dove poteva contare su appoggi da parte di esponenti della criminalità locale e di una rete di pusher assoggettati alle disposizioni impartite dai vertici.
Il quadro generale della criminalità nella cittadina di Vieste è stato reso ancora più instabile da recenti fratture maturate all’interno nel clan RADUANO, come dimostra l’operazione del 19 ottobre 2019 che ha portato al fermo di indiziato di delitto di due pregiudicati, vicini al clan RADUANO, ritenuti responsabili del tentato omicidio, avvenuto il 14 ottobre 2019, nei confronti di un altro soggetto dello stesso clan. È stata contestata “l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. risultando l’azione omicidiaria, la detenzione e il porto della predetta arma direttamente riconducibile alla contrapposizione violenta derivante dalla frattura interna al gruppo criminale … Raduano …, per il controllo egemonico del territorio viestano e delle attività correlate al traffico di droga. Avendo, inoltre, commesso il fatto, con modalità di chiaro stampo mafioso, in pieno giorno, a volto scoperto ed in zona centrale della città di Vieste, tali da incutere timore nella locale popolazione e da manifestare la propria caratura criminale sul territorio anche a discapito di altri criminali locali”. Gli arrestati, identificati grazie alle riprese degli impianti di video-sorveglianza, sono stati rintracciati all’interno di un’abitazione rurale nella disponibilità della famiglia NOTARANGELO. Di rilievo anche la figura della vittima dell’agguato (arrestato nel 2015 dell’ambito dell’operazione “Nuovo Orizzonte”), indicata dal provvedimento come un soggetto “di specifico interesse operativo in relazione alla nota faida in atto nella città di Vieste (FG) ed in generale sul territorio garganico, relativa al traffico di sostanze stupefacenti”, e vicina allo stesso capoclan RADUANO.
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