Ultimo aggiornamento 17 Dicembre 2021 - 13:38
Set 16, 2015 Redazione Politica 1
Il 14 Settembre 2015, nell’ex Cinema Giannone a Ischitella, si è svolto il convegno “Chi e perchè ha ucciso Aldo Moro”: il parlamentare Gero Grassi, membro della nuova Commissione d’inchiesta sul caso Moro, ricostruisce una delle pagine più buie della storia della Reppublica italiana.
“Chi e perchè ha ucciso Aldo Moro”? A 37 anni di distanza da quell’orrendo omicidio, la verità resta ancora avvolta da molti dubbi.
“L’unica certezza è racchiusa nel titolo di un articolo, pubblicato il 16 marzo 1979 sul ‘Corriere della Sera’, scritto dal Rettore dell’Università di Siena Carlo Bò che definì l’omicidio di Moro ‘Delitto di abbandono’. Perché Aldo Moro, fu abbandonato da tutti al suo ineluttabile destino, eccetto che dalla sua famiglia e da pochi amici intimi”.
Così Gero Grassi, vicepresidente del Gruppo Pd alla Camera dei Deputati e membro della nuova Commissione d’inchiesta sul caso Moro, ha introdotto l’incontro che ha avuto luogo la sera del 14 settembre a Ischitella, presso l’ex cinema Giannone, organizzato dal circolo cittadino del Pd con a capo il segretario Alessandro Nobiletti. Al convegno ha partecipato anche l’assessore al bilancio della Regione Puglia, Raffaele Piemontese, giunto dalla Fiera del Levante di Bari.
Ischitella non è che la 193^ tappa del tour in giro per l’Italia che il parlamentare pugliese conduce da un anno e mezzo, per esporre il lavoro della commissione bicamerale creata ad hoc e della magistratura, su un delitto in cui, evidentemente, le Brigate Rosse sono state solo l’ultimo anello di una catena che partiva da molto più in alto. Un intreccio perverso e senza scrupoli diretto a punire il dialogo tra la Dc e il Pci, che non piaceva né agli Usa né alla Russia.
Davanti a un pubblico numeroso, dopo i saluti del segretario del circolo cittadino Alessandro Nobiletti e del vice presidente Antonio Voto, Grassi ha ricostruito in maniera puntigliosa e appassionata una delle pagine più buie della storia della Repubblica italiana: il rapimento del presidente Moro, avvenuto il 16 marzo 1978, e il delitto dello statista pugliese, il cui cadavere fu ritrovato a Roma in via Caetani il 9 maggio 1978.
Con alla mano date e nomi, Grassi ha ripercorso “fatti e non opinioni” emersi dal lavoro meticoloso della commissione parlamentare riassumendo in maniera efficace due milioni di pagine, per un totale di otto processi, quattro commissioni d’inchiesta su terrorismo e stragi e una commissione sulla P2.
Una fine brutale, quella di Moro, annunciata già molto tempo prima dell’effettivo rapimento e del conseguente omicidio.
“Già nel 1964 – ha esordito Grassi – i settori deviati dell’Arma dei Carabinieri avevano concepito il ‘Piano Solo’, un golpe, poi sventato grazie all’intuito di Saragat, che prevedeva il rapimento e l’uccisione di Moro. Nel 1974, invece, l’allora segretario di stato americano Kissinger, ammonì Moro dicendogli di smetterla di dialogare con i comunisti, altrimenti l’avrebbe pagata cara. Nello stesso anno, Moro salì e fu fatto scendere pochi minuti dopo dal famigerato treno “Italicus”, quello che fu fatto saltare in aria con la stessa polvere delle stragi di piazza Fontana, di stazione di Bologna, di piazza della Loggia, ecc. Per non parlare – ha aggiunto Grassi – del giornale ‘Op, diretto dal piduista Mino Pecorelli, che già nel triennio 1975-1977 dedicò tre pagine a un allora ipotetico delitto Moro”.
E poi quel documento, a “distruzione immediata”, su carta intestata del Ministero della Difesa, partito il 2 marzo del 1978 da La Spezia tramite il G71 Antonino Arconte, appartenente all’organizzazione Gladio (della quale Andreotti confermò l’esistenza solo nel 1990) e riservato all’agente dei Servizi segreti a Beirut Stefano Giovannone, a cui veniva ordinato di prendere contatti con i Gruppi del Terrorismo Mediorientale, al fine di ottenere collaborazione ed informazioni utili alla liberazione Moro. Tutto questo 14 giorni prima del rapimento. Quel documento, prima di arrivare a Giovannone, passò nelle mani del colonnello Sismi Mario Ferraro che ne conservò una copia, ma che nel 1995 morirà in un misterioso suicidio.
A questo si aggiunge un altro dato: i giudici hanno scoperto che dai servizi segreti francesi, nel febbraio 1978, era partita una comunicazione diretta ai Servizi Segreti Italiani in cui si avvertiva che erano giunte notizie sul fatto che Aldo Moro sarebbe stato rapito nel mese di Marzo di quell’anno.
E, infatti, Moro fu rapito il 16 marzo del 1978, intorno alle 9.30 circa. Ad agire un commando di brigatisti che uccisero i cinque uomini della sua scorta e che diedero inizio al sequestro di 55 giorni che tennero col fiato sospeso l’intera nazione. Fino a quando il corpo senza vita del presidente della Democrazia Cristiana fu ritrovato a Roma, in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault rossa.
E dire che quel 16 marzo, in quella zona, Moro non si sarebbe neanche dovuto trovare. La pattuglia in cui viaggiava Moro, infatti, ricevette una telefonata ed, improvvisamente, cambiò tragitto. Un cambio di tragitto che fu fatale. Chi chiamò la pattuglia in cui viaggiava Moro con la scorta?
“Quel giorno, in via Fani, in base a quanto sostiene la magistratura con sentenze definitive, c’erano persone non riconducibili alle Brigate rosse e che, stando agli ultimi sviluppi, sarebbero uomini dei servizi segreti” ha affermato Gero Grassi.
Dalla ricostruzione di Grassi emergono punti oscuri e strane coincidenze che si collegano tra loro come tasselli di un puzzle: il “modo quasi impossibile di uccidere tutti i membri della scorta riuscendo a non centrare mai Moro”; la presenza, spesso negata, di una moto Honda sul luogo del rapimento, a bordo della quale, due uomini, ancora non identificati, avrebbero dovuto “proteggere” i brigatisti; il ruolo del bar Olivetti, situato nel luogo dell’agguato, che quel giorno risultava chiuso per lavori; l’assenza del fioraio che aveva la sua bancarella in via Fani nei pressi del luogo dove avvenne il rapimento, sostituita il 16 marzo del 1978 dalla presenza di una macchina dei servizi segreti alle dipendenze del colonnello Guglielmi, capo del Sismi; la scomparsa di due giornalisti che si trovavano in Libano per “osservare” un campo di addestramento, salvo scoprire che gli addestratori erano rigorosamente militari dei servizi segreti italiani e che assieme ai libici, si addestravano anche alcuni brigatisti; la sparizione e la distruzione di documenti ritenuti “fondamentali”.
Sotto la lente di ingrandimento di Grassi anche la figura di Alessio Casimirri, marito di Rita Algranati (la donna che alzando il mazzo di fiori in via Fani, diede il via all’operazione del rapimento) e unico brigatista mai arrestato, latitante da più di trent’anni in Nicaragua.
“Il Casimirri – ha proseguito l’onorevole – è figlio di una cittadina vaticana, Maria Labella, e del responsabile della sala stampa vaticana di ben tre Papi, Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI”.
Al vaglio di Grassi anche le false verità sul luogo di prigionia in via Gradoli sconosciuta ai romani, ma dove Polizia e Servizi possedevano diversi appartamenti, e sul falso comunicato delle BR che dichiarava il ritrovamento del cadavere di Moro sul lago della Duchessa.
L’onorevole Grassi ha raccontato anche i fatti più difficili da credere, dall’“invito a pranzo” ricevuto da Guglielmi quel 9 maggio 1978 in via Caetani alle 8.30 alla presunta seduta spiritica per cercare Moro, alla quale avrebbe partecipato anche Romano Prodi, fino alle dimissioni di Cossiga sull’onda di una frase sibillina: “Chi ha interrogato Moro è un docente di livello universitario che conosceva la storia italiana non perché l’aveva studiata ma perché l’aveva vissuta”.
Proprio Cossiga, all’epoca Ministro degli interni, che ricoprì un ruolo centrale nei 55 giorni del rapimento di Moro, in un’intervista dichiarò: “Quando ho optato per la linea della fermezza, ero certo e consapevole che, salvo un miracolo, avevamo condannato Moro a morte”.
Un aspetto fondamentale per Grassi riguarda le lettere di Moro dalla prigionia, di cui la magistratura ha accertato la veridicità, ma che negli anni successivi sono state messe in discussione.
“Del memoriale che scrisse Moro, durante la sua prigionia nel covo dei brigatisti – ha rivelato Grassi – sono sparite numerose pagine che forse avrebbero potuto far luce sul caso e mettere a nudo anche le responsabilità dei politici che potevano forse farlo liberare”.
“Ne venne in possesso anche il generale Dalla Chiesa, anch’egli iscritto alla P2 – ha riferito Grassi – che non è stato ucciso dalla mafia, ma da chi sapeva che aveva in mano le carte del caso Moro”.
“Per aver visto o letto il memoriale sono stati uccisi anche Galvaligi, il colonnello Varisco, Chichiarelli, Pecorelli e infine la morte sospetta del colonnello Bonaventura, il giorno prima della sua audizione”.
Del delitto di Moro sono stati accusati i brigatisti Valerio Morucci, Mario Moretti, Adriana Faranda con la complicità di altri comunisti combattenti come Franceschini e Casimirri. Questi secondo Grassi sono gli esecutori materiali, anche se restano dubbi a riguardo, ma i mandanti sono altri.
Su tutti, un personaggio chiave, che rivestì il doppio ruolo di consulente del Ministero di Grazia e Giustizia e di brigatista: Giovanni Senzani. Ma l’omicidio del leader della Dc, dal racconto di Grassi, coinvolge molteplici soggetti iniziando “dalle BR e arrivando alla P2 e alla mafia, dalle superpotenze di Usa e Urss alla CIA, dal Mossad al KGB e ai servizi segreti italiani deviati”.
Grassi è un fiume in piena, ha sete di verità ed è determinato a perseguirla, perché come scrisse lo stesso Moro: “La verità è più grande di qualsiasi tornaconto”. Per questo, durante l’incontro, il deputato ha trovato lo spazio anche per rispondere ad alcune domande. Gli abbiamo chiesto per esempio se l’attività della nuova commissione di cui è membro non sia favorita dal fatto che oggi diverse figure politiche, che molto avevano a che fare con il caso Moro, come Cossiga e Andreotti, non siano più presenti in Parlamento.
“No. Le commissioni precedenti hanno fatto filosofia del diritto e all’epoca il mondo era diviso in est e ovest – ha spiegato Grassi alla redazione de “Il Resto del Gargano”. “La condizione di favore che oggi esiste in Italia è invece dovuta innanzitutto alla desecretazione degli atti voluta da Renzi e poi alla grande capacità del PD che, su mia iniziativa, sta massacrando l’Italia creando un grande cuscinetto di consapevolizzazione dell’evento che rende più facile il nostro lavoro”.
A Grassi si è chiesto anche perché la Commissione non stia interrogando Antonino Arconte, l’uomo facente parte di Gladio, che il 6 marzo del 1978 si imbarcò per Beirut per recapitare a Giovannone un documento che avvertiva del sequestro Moro prima ancora che avvenisse. La testimonianza di Arconte potrebbe, infatti, ricostruire un tassello fondamentale della vicenda.
“Io ho invitato Arconte a venire in Commissione – è stata la risposta di Grassi – ma poiché lui ha passato un po’ di guai giudiziari, ci ha chiesto di non essere interrogato in Italia, ma nella sede dell’Onu. Noi però non possiamo andare nella sede dell’Onu perché facendo questo lavoro, noi rischiamo ogni sera. Se lui vuole contribuire, noi lo aspettiamo”.
Al termine del convegno, l’on. Grassi è stato salutato da un lungo e caloroso applauso del pubblico presente, composto da cittadini di Ischitella e non solo.
“Quando tornate a casa – ha concluso l’On. Gero Grassi – raccontate ai vostri amici e ai vostri parenti la vita e la morte di Aldo Moro – non servirà per resuscitarlo ma servirà per dare ai vostri figli e ai vostri nipoti un’Italia più civile, più sicura, più democratica”.
“Pasolini diceva, io so ma non ho le prove. Io aggiungo, io so ma non ho ancora tutte le prove”.
Video “Chi e perchè ha ucciso Aldo Moro” (parte I)
Video “Chi e perchè ha ucciso Aldo Moro” (parte II)
Video “Chi e perchè ha ucciso Aldo Moro” (parte III)
Le immagini
La Redazione
Dic 16, 2021 0
Dic 07, 2021 0
Dic 03, 2021 0
Dic 01, 2021 0
Giu 25, 2021 0
Mar 06, 2021 0
Feb 13, 2021 0
Feb 06, 2021 0
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
Questo signor Grassi , vuole dare al governo Renzi, essendo egli uomo di bottega una patente che non merita.la desecretazione è una presa per i fondelli , si può desecretare adiscrezione, come è un presa per i fondelli la farsa dell’ultima commissione presieduta da Fioroni ! Per chi vuol intendere, le modalità dell’azione , che il recital dei componenti del commando BR, burattini al servizio del potere , che in Italia ha una sola sigla CLN,di per se dimostra che non Morucci , Faranda ; Moretti furono i comprimari di una farsa, se pur tragica. Chi può credere ai mitra inceppati e all’eliminazione dei due uomini sulla 130, cosi come è stata descritta , senza colpire Moro? L’italoidiota merita di essere preso per il culo, se ancora va a votare alle primarie del PD, che rimane sempre il criminale PCI: