Ultimo aggiornamento 17 Dicembre 2021 - 13:38
Lug 21, 2012 Redazione Salute 0
La cura per il cancro alla prostata potrebbe arrivare da una pianta che cresce spontanea nel Gargano. A sostenerlo sono Johns Hopkins del Kimmel Cancer Center e i suoi colleghi dell’Università del Wisconsin e del Texas-San Antonio, con uno studio pubblicato su “Science Translational Medicine”, la rivista scientifica edita da “Science”.
Finora la Thapsia garganica, questo il suo nome scientifico (o firrastrina comune), era conosciuta per la sua capacità di uccidere gli animali che se ne cibavano. Ora questa erbacea spontanea, particolarmente diffusa nella nostra macchia mediterranea, apre incoraggianti scenari per le persone affette da cancro alla prostata.
Antichissime le origini della pianta: già ai tempi dell’antica Grecia era nota per essere velenosa, mentre nei paesi arabi veniva persino chiamata la “carota della morte” perché uccideva i cammelli che la mangiavano. Ora torna utile proprio quel suo principio attivo: secondo lo studio sarebbe capace di ridurre del 50% le dimensioni del carcinoma prostatico anche in un solo mese.
Come? Nel loro esperimento, gli scienziati hanno utilizzato un particolare composto presente all’interno della pianta: si tratta della Tapsigargina, un inibitore degli enzimi dell’ATPasi, trasformato in un nuovo farmaco chiamato G202. Il farmaco è il risultato della Tapsigargina dissemblata e modificata in modo che, una volta iniettato, viaggia nel sangue senza danneggiare i vasi e i tessuti sani ma attaccando solo le cellule tumorali. Una volta giunto al sito del tumore, infatti, il principio perde questa “protezione”, a causa di una proteina rilasciata dal cancro, e il farmaco G202 è in grado di attaccarlo. Non solo, per le sue caratteristiche di azione, il farmaco sembrerebbe immune allo sviluppo di resistenza.
Il farmaco è solo nella prima fase di sperimentazione e lo si sta testando su 29 pazienti affetti da un carcinoma prostatico in fase avanzata. I risultati dello studio americano però promettono bene: dopo solo 30 giorni le dimensioni del tumore sono state dimezzate, aprendo così importanti spiragli per l’oncologia medica.
La Redazione
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