Ultimo aggiornamento 24 Gennaio 2021 - 14:51
Ott 13, 2015 Redazione Attualità 0
Non è solo lo scontro tra Tano Grasso e Franco Landella a tenere banco. La famiglia di Giovanni Panunzio, l’imprenditore ucciso per aver denunciato i suoi estorsori, chiede la restituzione del nome.
Clima tutt’altro che sereno a Foggia per l’associazione antiracket nata nel capoluogo pugliese appena un anno fa. Al centro delle polemiche lo scontro tra il Comune di Foggia e Tano Grasso, presidente della FAI (Federazione delle associazioni antiracket) e presidente onorario della Fondazione di Foggia.
Ad accendere la discussione sono state le parole di Grasso nel corso della sottoscrizione, ieri in prefettura, del protocollo di intesa per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni estorsivi nei cantieri edili.
“Una delle cose che mi ha stupito in questo anno di esistenza dell’Antiracket a Foggia – ha detto Grasso – è stato l’atteggiamento negativo del Comune. Nel processo ‘Corona’, uno dei più importanti processi in corso contro il racket delle estorsioni, il Comune di Foggia inspiegabilmente e gravemente non si è costituito parte civile né nel rito ordinario né in quello dell’abbreviato. Nel momento in cui si tenta di attivare un meccanismo virtuoso, nel momento in cui prefettura, magistratura e forze dell’ordine manifestano un impegno di questo tipo – ha concluso – è molto grave che in questo circolo virtuoso manchi proprio il soggetto che rappresenta la comunità, ovvero il Comune”.
Parole che naturalmente non sono state apprezzate a Palazzo Città, in particolare dal primo cittadino di Foggia Franco Landella:
“Il tono e il contenuto delle dichiarazioni rilasciate questa mattina contro il Comune di Foggia da Tano Grasso sono inaccettabili – ha commentato Landella – Delegittimare le istituzioni liberamente e democraticamente elette dai cittadini non solo non è d’aiuto per sconfiggere il racket delle estorsioni, ma, cosa ancor più grave, rappresenta una palese ed intollerabile mancanza di rispetto verso la città”. “Come ha già ampiamente dimostrato l’assessore al Contenzioso, Sergio Cangelli, si è trattato di un mero disguido – precisa il primo cittadino –. Questa Amministrazione in altre circostanze si è già costituita parte civile in altri processi, proprio a dimostrazione della sua sensibilità verso questo tema, e continuerà a farlo, a prescindere dalle polemiche strumentali messe in campo in queste ore”.
Non è mancata una frecciata personale del sindaco nei confronti di Tano Grasso:
“Vale la pena ricordare al presidente Grasso – sottolinea Landella – che mentre oggi punta l’indice contro la politica e le istituzioni, in passato ha preferito tenere lontani proprio i rappresentanti della politica dalle sue iniziative antiracket. Mi riferisco in particolare al 5 dicembre 2012, quando Grasso impedì al sottoscritto di partecipare, come cittadino (benché all’epoca fossi anche vicepresidente del Consiglio comunale) alla ‘passeggiata antiracket’ organizzata per le strade di Foggia dalla sua Federazione. Sarebbe dunque il caso che Grasso chiarisse in modo più preciso la sua posizione sul punto: la battaglia contro il racket è una prerogativa esclusiva della sua Federazione ed è lui a decidere quando è opportuno l’intervento dei rappresentanti delle istituzioni (e, soprattutto, di quali rappresentanti)?”.
A spiegare perché il Comune di Foggia non si è costituito parte civile nel Processo ‘Corona’ è l’assessore comunale all’Avvocatura Sergio Cangelli:
“Restituiamo al mittente le considerazioni espresse dal Presidente onorario della FAI, Grasso. Sul caso specifico, il Comune aveva dato l’indirizzo di costituirsi parte civile nel processo ‘Corona’. Non essendo, però, parte lesa in questo procedimento, ha dovuto acquisire autonomamente, grazie alla collaborazione della Camera di Commercio, i relativi dati identificativi. Pertanto, quando si è materialmente provveduto a formalizzare l’atto di costituzione di parte civile, erano scaduti da un giorno i termini per la detta costituzione. Ci rammarichiamo per il disguido, ma non riteniamo che possa essere oggetto di strumentalizzazione da parte di chicchessia”. Una risposta però che potrebbe non bastare a placare le polemiche in corso.
Ad inasprire ulteriormente gli umori c’è un altro fattore: le dimissioni della famiglia di Giovanni Panunzio, l’imprenditore ucciso per aver denunciato i suoi estorsori, di cui l’associazione foggiana porta il nome. La notizia, ieri sussurrata, è stata confermata oggi dalla stessa famiglia. Michele Panunzio e la moglie Giovanna Belluna hanno inviato, infatti, sia a Tano Grasso che alla referente foggiana dell’antiracket, Cristina Curci, una lettera di abbandono dell’associazione chiedendo di non utilizzare più il nome del loro congiunto.
Una decisione alla quale il presidente Grasso finora non ha dato risposta, come ha fatto notare il capogruppo de La Destra in Consiglio comunale, Bruno Longo:
“Il presidente l’ha stranamente taciuta. Così come a fronte di cospicui finanziamenti comunitari ottenuti, non siamo a conoscenza dei numeri che ha prodotto la FAI in provincia di Foggia, ovvero quante denunce siano state effettuate da imprenditori e commercianti taglieggiati. Sembra, addirittura, che la Corte dei Conti di Napoli abbia aperto un’inchiesta sui fondi comunitari ottenuti dall’associazione che fa capo a Tano Grasso, ex parlamentare del Partito Democratico della Sinistra”.
La Redazione
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